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mercoledì 10 aprile 2013

Luddismo, Beato Angelico & V per Vendetta


Beato Angelico - Annunciazione della cella 3 del convento di San Marco (Firenze) - 1438/1440

Prosegue la conversazione con Lettere Scarlatte, che mi pone la seguente domanda (vedi post "Differenza indifferente"): 

Ti pongo un quesito su cui sto riflettendo da un po'. In un ottica "rivoluzionaria", preso atto di quello che abbiamo detto e della necessità di un'alternativa praticabile da proporre, potrebbe essere una modalità ragionevole quello di agire dall'interno, ovvero sfruttare simboli e dinamiche tipiche del liberismo in un ottica idealmente luddista?

Ti confesso che l'interrogativo che mi hai posto mi ha dato molto da pensare; la comunicazione non è il mio campo di studi, ma, avendo alle spalle una formazione artistica (ebbene sì, mi sono diplomata all'istituto d'arte e ora sono una quasi-storica... tutte materie con le quali "non si mangia", a detta di qualcuno) posso forse permettermi di esprimere un pare in merito. Ricordo in particolare un pittore, il Beato Angelico, che modificava il suo stile a seconda del pubblico di riferimento: affreschi ricchi e decorati per i fedeli (era un frate domenicano) e affreschi semplici e diretti per i suoi confratelli. Ciò perché questi ultimi possedevano gli strumenti per comprendere immediatamente il messaggio che l'Angelico intendeva veicolare col suo lavoro - strumenti che, evidentemente, un fedele "normale" non poteva avere: quanto quest'uomo fosse "avanti coi tempi" possiamo evincerlo facilmente considerando il fatto che ha operato nella prima metà del XV secolo! 

Certo i tempi sono cambiati, ma credo che questo esempio possa esserci d'aiuto nel considerare il problema dell'odierna comunicazione con le masse; come già considerò Togliatti ai tempi del "partito nuovo", la questione non è tanto quella di veicolare un messaggio/proposta/idea ai cosiddetti quadri (i confratelli di Beato Angelico), la cosa difficile è trovare il modo di far giungere lo stesso messaggio alla massa indistinta della popolazione (i semplici fedeli). Trovo che la strada da percorrere, nell'immediato, sia appunto quella che tu proponi: prendere possesso del linguaggio pubblicitario oggi prevalente, assimilarne gli strumenti in modo tale da poter adoperarlo per proporre tematiche che veramente vadano in controtendenza rispetto all'appiattimento generale del pensiero unico (che, ahimè, è tornato di moda). Certo è che, però, dopo un primo momento di straight news, dovrebbe esserci la volontà dell'individuo di approfondire autonomamente il tema proposto: su questo, purtroppo, sono molto sfiduciata; i mezzi e le opportunità non mancherebbero, quello che manca in generale è la voglia di farlo (e qui ci sarebbe da scendere sul piano più strettamente sociale e svolgere un'ulteriore analisi). 

Chiudo il mio intervento con un'immagine che mi ha colpita di recente, pubblicata dal sito di Anonymous Italia: Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, avvolta dal mantello di V, protagonista del film (già fumetto) V per vendetta, icona popolare dell'anti-totalitarismo moderno, scelto dagli Anonymous come volto-non volto autorappresentante. Quest'immagine (e il testo che l'accompagna, che però arriva in un secondo momento) mi ha trasmesso un forte impatto emotivo, percepito immediatamente: basta aver visto il film (o letto il fumetto) per comprendere subito il messaggio che il suo autore ha voluto lanciare. Ecco, secondo me questa potrebbe essere la strada da seguire, fermo restando (e questo è il nodo), in un successivo momento, l'approfondimento critico dell'argomento trattato.


sabato 6 aprile 2013

Renzi la strega


Devo smetterla di fare pause-studio, partorisco solo abomini! 
lunedì 1 aprile 2013

Ingerenze vaticane DOC


Abbiamo il nuovo papa! Eeeeeh! Yuu-uuuh! Non me ne può fregar di meno, sono una paesana pagana.


Ah no, aspetta un momento.


Il Vaticano ha sempre avuto la sua brava ingerenza negli affari dello Stato italiano, e allora sì che me ne deve fregare. Non si può essere laici in questo paese, perché è lo Stato per primo a non essere laico.

Per comprendere a pieno quanto abbia contato la parola vaticana per la neonata Repubblica italiana, voglio consigliarvi la lettura di un bel libro di storia sociale: Famiglie comuniste - ideologie e vita quotidiana nell'Italia degli anni Cinquanta di Maria Casalini (Il Mulino, Bologna 2010), storica di professione. Riporterò qui di seguito un estratto da tale libro, onde condividere con voi lo sdegno che mi tormenta (i grassetti sono miei).



[...] Né la portata politica del discorso sulla famiglia appare meno evidente, allora come oggi, in tema di rapporti tra Stato e Chiesa. Sul terreno della contrattazione che si riapre sul piano della gestione del privato con il governo democristiano si gettano, non a caso, le basi di un felice e indissolubile connubio. 
Chiave dell'accordo, il via libera concesso da De Gasperi al progetto di garantire alla famiglia uno statuto autonomo nel nuovo scenario della democrazia italiana. Se il significato della formula può forse trarre in inganno, lasciando intendere una forma di delega all'autoregolazione degli individui, in realtà, l'obiettivo dell'insistenza sia sulla dimensione istituzionale della famiglia, sia sul suo carattere di società naturale, che tanto aveva irritato allora i costituenti laici, era di segno esattamente contrario, e la posta in gioco difficilmente sopravvalutabile.
L' atout "famiglia" non si prospetta, in altre parole, solo quale elemento chiave del linguaggio della politica e insostituibile cinghia di trasmissione della dispersa macchina di potere democristiana. Attestandosi come il fulcro del sistema di welfare "differito" dell'Italia repubblicana, è il cavallo di Troia attraverso cui la Chiesa cattolica varca le mura dello Stato.
Nell'allocuzione di Pio XII ai vescovi, del 2 novembre 1950, il rifiuto della sicurezza sociale come minaccia della centralità della famiglia non potrebbe essere più esplicita. E il pilastro dell'intera impalcatura si prospetta un figura femminile subordinata ai dettami della religione e dedita per natura a un'esclusiva e totalizzante opera di maternage. Attorno a lei ruota l'impianto di una sfera familiare, felicemente definita come "una straordinaria erogatrice di servizi", delegata a sopperire ai limiti congeniti dello stato sociale. È così proprio negli anni Cinquanta che nasce la figura della "mamma italiana". È lei l'anima della casa, la detentrice legittima del monopolio dell'assistenza di tutte le persone economicamente non autonome della famiglia, mentre al marito resta affidato il ruolo esclusivo del percettore del reddito.
Dalla indiscussa fetta di potere che questo ruolo le conferisce, la mamma italiana sembra inizialmente appagata, quando l'alternativa alla casalinghitudine è quella del peso, a volte insostenibile, del doppio lavoro.
Ciò che comunque ci si premura di ripeterle instancabilmente è che per lei non esiste alternativa: è nell'oblatività che realizza se stessa e assurge alla dignità cui la dottrina cattolica le ha concesso di aspirare.
Si spiega così quello che solo in apparenza sembra un assurdo, ma che in effetti rappresenta la chiave di lettura del caso italiano, dove la famiglia è incoronata regina del linguaggio della Dc e relegata contemporaneamente ai margini dell'attività legislativa in campo assistenziale. [...]

È giusto che se si è credenti si seguano i dettami Cattolici, ciò che non è giusto è voler imporre tali dettami in maniera indiscriminata a tutta lo popolazione di uno Stato laico; della scelta che fu fatta allora ne ripaghiamo tutt'oggi le conseguenze: l'assistenza statale scarsa che ci ritroviamo ha radici lontane.