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lunedì 1 aprile 2013

Ingerenze vaticane DOC


Abbiamo il nuovo papa! Eeeeeh! Yuu-uuuh! Non me ne può fregar di meno, sono una paesana pagana.


Ah no, aspetta un momento.


Il Vaticano ha sempre avuto la sua brava ingerenza negli affari dello Stato italiano, e allora sì che me ne deve fregare. Non si può essere laici in questo paese, perché è lo Stato per primo a non essere laico.

Per comprendere a pieno quanto abbia contato la parola vaticana per la neonata Repubblica italiana, voglio consigliarvi la lettura di un bel libro di storia sociale: Famiglie comuniste - ideologie e vita quotidiana nell'Italia degli anni Cinquanta di Maria Casalini (Il Mulino, Bologna 2010), storica di professione. Riporterò qui di seguito un estratto da tale libro, onde condividere con voi lo sdegno che mi tormenta (i grassetti sono miei).



[...] Né la portata politica del discorso sulla famiglia appare meno evidente, allora come oggi, in tema di rapporti tra Stato e Chiesa. Sul terreno della contrattazione che si riapre sul piano della gestione del privato con il governo democristiano si gettano, non a caso, le basi di un felice e indissolubile connubio. 
Chiave dell'accordo, il via libera concesso da De Gasperi al progetto di garantire alla famiglia uno statuto autonomo nel nuovo scenario della democrazia italiana. Se il significato della formula può forse trarre in inganno, lasciando intendere una forma di delega all'autoregolazione degli individui, in realtà, l'obiettivo dell'insistenza sia sulla dimensione istituzionale della famiglia, sia sul suo carattere di società naturale, che tanto aveva irritato allora i costituenti laici, era di segno esattamente contrario, e la posta in gioco difficilmente sopravvalutabile.
L' atout "famiglia" non si prospetta, in altre parole, solo quale elemento chiave del linguaggio della politica e insostituibile cinghia di trasmissione della dispersa macchina di potere democristiana. Attestandosi come il fulcro del sistema di welfare "differito" dell'Italia repubblicana, è il cavallo di Troia attraverso cui la Chiesa cattolica varca le mura dello Stato.
Nell'allocuzione di Pio XII ai vescovi, del 2 novembre 1950, il rifiuto della sicurezza sociale come minaccia della centralità della famiglia non potrebbe essere più esplicita. E il pilastro dell'intera impalcatura si prospetta un figura femminile subordinata ai dettami della religione e dedita per natura a un'esclusiva e totalizzante opera di maternage. Attorno a lei ruota l'impianto di una sfera familiare, felicemente definita come "una straordinaria erogatrice di servizi", delegata a sopperire ai limiti congeniti dello stato sociale. È così proprio negli anni Cinquanta che nasce la figura della "mamma italiana". È lei l'anima della casa, la detentrice legittima del monopolio dell'assistenza di tutte le persone economicamente non autonome della famiglia, mentre al marito resta affidato il ruolo esclusivo del percettore del reddito.
Dalla indiscussa fetta di potere che questo ruolo le conferisce, la mamma italiana sembra inizialmente appagata, quando l'alternativa alla casalinghitudine è quella del peso, a volte insostenibile, del doppio lavoro.
Ciò che comunque ci si premura di ripeterle instancabilmente è che per lei non esiste alternativa: è nell'oblatività che realizza se stessa e assurge alla dignità cui la dottrina cattolica le ha concesso di aspirare.
Si spiega così quello che solo in apparenza sembra un assurdo, ma che in effetti rappresenta la chiave di lettura del caso italiano, dove la famiglia è incoronata regina del linguaggio della Dc e relegata contemporaneamente ai margini dell'attività legislativa in campo assistenziale. [...]

È giusto che se si è credenti si seguano i dettami Cattolici, ciò che non è giusto è voler imporre tali dettami in maniera indiscriminata a tutta lo popolazione di uno Stato laico; della scelta che fu fatta allora ne ripaghiamo tutt'oggi le conseguenze: l'assistenza statale scarsa che ci ritroviamo ha radici lontane.

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